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Il primo pilastro della Mindfulness: IL NON GIUDIZIO

Quasi tutto ciò che vediamo o con cui entriamo in contatto viene etichettato dalla mente come “buono” o “cattivo”. Reagiamo ad ogni esperienza in termini di quello che riteniamo essere il suo valore per noi. Alcune cose, persone ed eventi sono classificati “buoni” perché, per una ragione o per l’altra, ci fanno sentire bene. Altri vengono altrettanto immediatamente classificati “cattivi” perché ci fanno sentire male. Il resto viene classificato come “neutro” perché ci sembra che non abbia una particolare importanza per noi. Le cose, persone ed eventi che appartengono a quest’ultima categoria li escludiamo quasi dal campo della nostra attenzione: di solito sono quelli che troviamo più noioso osservare.

L’abitudine di classificare il contenuto della nostra esperienza in base a giudizi, innesca un insieme di reazioni meccaniche di cui non ci rendiamo conto e che spesso non hanno fondamento obiettivo. La costante attività giudicante della mente ci rende difficile trovare uno stato di pace interiore: la mente si comporta come uno yoyo, che tutto il giorno va su e giù lungo la corda dei nostri giudizi positivi e negativi.

Se vuoi verificare tu stesso questa descrizione, prova a fare attenzione a quante volte nel corso di dieci minuti, mentre sei occupato in una delle tue normali attività quotidiane, sorge in te un giudizio del tipo “mi piace” o “non mi piace”.

Per arrivare ad una gestione più efficace dello stress, il primo passo è renderci conto di questa attività di giudizio automatica nella nostra mente, aprendo la possibilità di liberarci dalla tirannia dei giudizi.

Durante la pratica della consapevolezza (“mindfulness”), è importante riconoscere questa attività giudicante della mente ogniqualvolta si presenta e assumere l’atteggiamento di un testimone imparziale, osservandola semplicemente. Quando un giudizio si presenta, non occorre che lo reprimi. Basta che tu te ne renda conto. Non si tratta di giudicare il giudizio sbagliato, complicando ulteriormente le cose.

Per esempio, supponiamo che tu stia praticando l’osservazione del respiro; a un certo punto può darsi che la tua mente dica qualcosa come “che noia”, o “questo non funziona”, o “non ci riesco”. Questi sono giudizi. Quando si presentano, è importante che tu li riconosca come tali e che ricordi che la pratica comporta una sospensione dei giudizi e la semplice osservazione di qualsiasi cosa si presenti, compresi i tuoi pensieri giudicanti, senza lasciarti coinvolgere e senza agire su di essi in alcun modo. Poi ritorni all’osservazione del respiro.

(tratto da: “Vivere momento per momento” di Jon Kabat-Zinn, pp.32-33)

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“Il ruolo del controllo in un corto che ci insegna qualcosa di importante sulla Vita”

Prendetevi 6 minuti di tempo per riflettere e godere di un filmato che fa riflettere

Negli ultimi tempi i cortometraggi, spesso sotto forma di cartone animato, sono un modo efficace e d’impatto per farci arrivare messaggi anche complessi in un modo emotivamente riflessivo.

A tal proposito mi sono imbattuta recentemente in un corto che tutti dovremmo guardare e prenderci il tempo e una pausa di 6 minuti per riflettere su qualcosa di importante.

 

La storia racconta di Dechen un monaco “in formazione” con la passione per il giardinaggio. Durante una notte tempestosa sceglie di prendere dal giardino il suo fiore preferito per portarlo al riparo dalle intemperie al caldo della sua stanza.

Tuttavia, nonostante le sue preoccupazioni e le sue attenzioni il fiore comincia a perire e il povero ragazzo soffre cercando di accettare la situazione.

Interviene poi un secondo monaco, guida del giovane, per insegnarli qualcosa che nella vita, non solo del fiore, sarà davvero centrale; Dechen trova il modo di salvare se stesso e la piccola pianta quando impara che la necessità di controllo è stato il vero veleno per la pianta.

Nella società moderna esercitare il controllo è un must, qualcosa da rincorrere, esistono manuali per qualsiasi necessità, prêt-à-porter e selfhelp per venire fuori da qualsiasi situazione che non ci piace.

Penso, pianifico, controllo, eseguo.

E cosi avanti.

Ma ci sono cose che non possono rispondere a questa sequenza.

Fiori, emozioni, partner, figli o qualsiasi altro evento che per definizione non sarà mai controllabile al 100% dal nostro volere o potere, per impossibilità stessa della cosa. Ma che anzi, si indebolisce quando tale tentativo diventa totalizzante e indispensabile. Seppur, ovviamente, mosso dai migliori intenti di protezione e benessere, sia chiaro.

Non siamo, fortunatamente, onnipotenti.

Nel corto scelto si evidenzia chiaramente cosa succede se cerchiamo di smettere di controllare. Il piccolo fiore torna a vivere proprio perché esposto alle intemperie che non significa necessariamente essere esposto a qualcosa di nocivo seppur negativo.

Proviamo a pensare a cosa possa voler dire per noi ogni tentativo di controllo che facciamo sui nostri pensieri o sulle nostre emozioni.

Non volerne, negarle, rinchiuderle, soffocarle, non ottiene quasi mai la direzione sperata.

Tanto più se al posto del fiore mettiamo un progetto di vita, un sentimento, un figlio o un partner.

Non significa in alcun modo lasciare la pianta (o nostro figlio) senza tutele nel mondo, né non fare nulla per il nostro stato d’animo per farci stare meglio, ovviamente. Ma significa lasciare libero di essere, di andare, di accadere.

Significa eliminare quella smania che spesso non siamo consapevoli di avere, di voler che le cose vadano esattamente come pianificate. Che pensando, preoccupandoci si eviterà qualcosa di brutto. Ma delle volte è l’incidente che crea l’opportunità.

E non parlo di un caso che significhi caos, ma neppure causa, ma di lasciare che le cose siano quello che sono, in modo libero e consapevole.

Parlo della flessibilità come altra faccia della rigidità.

Parlo di questo per non cadere nella paura dell’incertezza. La paura che immobilizza le scelte, congela l’azione e impedisce lo scorrere delle cose e crea problemi di ansia per esempio.

Smettere di esercitare il controllo sui pensieri ci libera dalla trappola di questi, smettere di anticipare catastrofi che spesso non avverranno, arricchisce le nostre esperienze che sono davvero la fonte di insegnamenti profondi.

Il controllo della relazione, il monitoraggio continuo di questa e i tentativi di non volerla mai esposta alle intemperie, la rende debole proprio come il fiore del video.

Oppure ancora la capacità di lasciare il controllo sul cammino dei figli porgendo la mano quando cadono ma non tracciandone la strada su passi stabiliti è quello che darà la possibilità di prendere scelte libere e consapevoli a lui sulla base delle proprie passioni e capacità.

È l’affanno di fare qualcosa, di farlo per bene, dettato dalla paura che qualcosa di brutto sia sinonimo di nocivo, che rende gli avvenimenti denaturati, e di conseguenza, la maggior parte delle volte, più ostili o complessi.

Proprio come la pianta che al calduccio delle premure del piccolo Dechen perdeva forza anziché trovarla.

La psicoterapia è un valido aiuto soprattutto per imparare a conoscere se stessi e quali sono le proprie dinamiche disfunzionali dettate dal bisogno di controllo e di prevenire.

Anche interventi basati sulla Mindfulness o sull’ACT (acceptance and commitment therapy) aiutano a maturare un atteggiamento volto alla capacità di lasciar scorrere, lasciar essere, lasciar andare, insegnando a stare nelle cose per come sono senza la frenesia del manomettere per renderle come dovrebbero, vorremmo, che fossero.

 

Elena Mannelli

Mindfulness e Meditazione come Prevenzione allo Stress sul Lavoro

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Dalla conferenza internazionale sulla Mindfulness di Roma, 12-15 Maggio 2016

di Elena Mannelli

Si è conclusa la settimana scorsa un importante conferenza  alla quale ho avuto la fortuna di partecipare sul tema della Mindfulness.

Quattro giornate piene ed intense che hanno dato spazio e voce alle più importanti voci internazionali che si occupano di questo tema segnale evidente dell’importanza e della rilevanza che la Mindfulness sta catturando nel panorama scientifico e psicoterapeutico.

Il concetto di Mindfulness deriva dagli insegnamenti del Buddismo, dello Zen, e dalle pratiche di meditazione yoga, ma solo dagli anni settanta negli Stati Uniti per opera di un medico del Massachusetts: Kabat-Zinn, questo modello è stato assimilato ed utilizzato come paradigma autonomo in alcune discipline mediche e psicoterapeutiche italiane, europee e d’oltre oceano.

Secondo la definizione di Kabat-Zinn, Mindfulness significa “porre attenzione al momento presente in un modo intenzionale, partecipatorio e non giudicante”. La pratica della Mindfulness, infatti, favorisce la possibilità di essere in relazione con se stessi e sviluppare consapevolezza su come il proprio mondo interno sia in rapporto con il mondo in cui siamo immersi, momento dopo momento.

Molti sono stati gli interventi interessanti durante le giornate del convegno. Uno di questi riguarda la mindfulness come fattore protettivo e come fattore di prevenzione per una categoria molto particolare di professionisti: gli insegnanti.

Molto è stato sin oggi scritto e detto circa l’effetto protettivo e terapeutico della meditazione e delle pratiche mindfulness sullo Stress; non casualmente il primo protocollo nato è proprio il MBSR Mindfulness Based Stress Reduction, un programma scientifico di Jon Kabat-Zinn e collaboratori sviluppato inizialmente presso la Medical School dell’Università del Massachusetts (U.S.A) che da oltre 30 anni (1979), viene proposto in più di 400 ospedali negli Stati Uniti e in Europa nel contesto della medicina integrativa, ovvero la mind-body medicine, la quale vede corpo e mente come un’unità che chiede di essere compresa senza rigide divisioni.

L’efficacia sullo stress vale anche per coloro che si interfacciano a realtà fortemente stressanti come gli operatori negli ospedali (inferiemieri, oss, medici) o coloro che lavorano in reparti “difficili” come la psichiatria e l’oncologia, e oggi risulta sempre più chiaro come l’ l’effetto di pratiche di consapevolezza abbia ottimi risultati anche su una particolare categoria di professioni a rischio, che sono gli insegnanti, e di conseguenza sui bambini e risulta quindi rilevante l’importanza della mindfulness anche nei contesti educativi, non solo clinici.

Per l’articolo in forma estesa dal reportage sul convegno:

http://www.stateofmind.it/2016/05/mindfulness-burnout-professioni/

Mindfulness: cos’è e come agisce per migliorare il benessere psicologico

Mindfulness

 

Sono tante le ragioni per le quali ci stiamo rivolgendo verso la consapevolezza, non ultima forse l’intenzione di conservare la nostra salute mentale o di recuperare il senso delle proporzioni e o il significato delle cose, o anche solo di tenere testa al tremendo stress e alla grande insicurezza del nostro tempo …in effetti limitarsi a sedere e a stare tranquilli per un po’ di tempo per proprio conto è un atto radicale di amore.

Jon Kabat Zinn

Fermarsi nel momento presente, godere del “qui e ora”, essere consapevoli delle cose che capitano nel momento stesso in cui avvengono, prestare attenzione alla realtà nella sua immediatezza, è qualcosa non solo di auspicabile, ma certamente di molto utile per il benessere psicofisico della persona.

Tutto ciò reso evidente dalle parole di Jon Kabat Zinn, uno dei padri della Mindfulness al quale dobbiamo la sua più esaustiva, nella sua semplicità, definizione : “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.

Concettualmente essere presenti ogni minuto della nostra vita a noi stessi e alle cose che ci accadono è sicuramente molto importante, tuttavia, nella realtà della nostra vita quotidiana, è altresì piuttosto difficile vivere con cotanta attenzione. La nostra mente tende ad andare ovunque che non sia l’immediato adesso, indietro crogiolandosi nei ricordi, belli quanto brutti, e avanti, (pre)occupandosi di tutte le cose che (a volte necessariamente a volte no) rincorriamo per gestire la quotidianità. Fermarsi dal treno dei pensieri, per scendere alla stazione del presente, è un qualcosa che richiede tempo, spazio ed esercizio. L’esercizio per disinnescare il “pilota automatico” colpevole, per lo più, di farci vivere più nella nostra testa che nella nostra vita, è per certi versi proprio la pratica Mindfulness.

La Mindfulness ha origini antichissime che prendono spunto dalle dottrine orientali, ed attualmente è diventata, sostenuta da una corposa mole di studi che ne avvalorano l’efficacia, uno strumento per la gestione dello stress, così come delle difficoltà che incontriamo durante il corso della vita.

Gli interventi terapeutici Mindfulness-Based riguardano la Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), sviluppate da Jon Kabat-Zinn nel 1979 presso il Medical Center della University del Massachusetts.

Gli incontri di gruppo durano 2 mesi, sono 8 appuntamenti della durata di 2 ore una volta a settimana.

Lo sviluppo della facoltà di Mindfulness è affidato a momenti “formali” in cui sono previste pratiche meditative dai 3 ai 30 minuti da portare avanti quotidianamente e momenti di pratica “informale” che consistono nel promuovere un atteggiamento rivolto alla continuità della consapevolezza nella vita di tutti i giorni.

Sono innumerevoli gli studi che ne dimostrano la potenza, in termini di riduzione dello stress, di prevenzione alla ricadute depressive, nella riduzione del dolore cronico e le ultime evidenze riportano che la pratica Mindfulness, ha effetti persino a livello neurale; su persone che meditano i contributi scientifici hanno riportato effetti della pratica sulle aree del cervello adibite alla regolazione emotiva (ad esempio un incremento e modulazione dell’attività della corteccia del lobo prefrontale sinistro sede delle emozioni positive).

Dott.ssa Elena Mannelli

I pensieri sono solo pensieri, non fatti

Luca stava andando a scuola.

Era preoccupato per la lezione di matematica.

Non era sicuro di poter tenere ancora la classe sotto controllo.

Questo non faceva parte dei compiti di un bidello.

 

Leggendo questa frase accade un fenomeno particolare. Succede che la nostra mente si trova constantemente a dover “aggiornare” le informazioni che entrano trasformando mentalmente la scena, all’inizio Luca ci appare come un bambino che va a scuola, poi diventa un maestro ed infine l’immagine mentale diventa quella di un bidello.

Questo esempio illustra come noi operiamo implicitamente inferenze a partire da fatti nudi che leggiamo, siamo costantemente incentrati ad attribuire significati alle informazioni che ci arrivano dall’esterno. E sono questi commenti, che genera la nostra mente, ad farci sentire poi un emozione congrua con il pensiero che abbiamo fatto.

Spesso però non siamo consapevoli che attributiamo significati ed interpretriamo sulla base di inferenze. La difficoltà nel separare gli eventi dalla loro interpretazione può diventare causa di numerosi problemi.

 

“I pensieri sono solo pensieri” appare probabilmente come una frase ovvia, banale e forse scontata, ma in realtà se ci soffermiamo a “pensarci” e a comprendere il significato di queste parole l’effetto nella nostra vita quotidiana così come il sollievo della nostra sofferenza emotiva può essere davvero importante.

Avviene  normalmente, ed è forse per questo che tendiamo a non accorgercene, che noi crediamo letteralmente al contenuto dei pensieri della nostra mente, come se fossero dati di realtà, “come se” fossero veri. Per cui a ragione di questo agiamo e ci comportiamo sulla base di questi.

E questo è vero per tutti, così come è particolarmente accentuato nel ragionamento ossessivo o nel rimuginio ansioso tipico di alcuni disturbi psicologici. Ed è così che cadiamo in un errore che ci porta ad avere la sensazione che aver avuto quel pensiero significhi qualcosa, potrebbe indicare che è più probabile che accada, o potrebbe dirci che siamo persone cattive, che non va bene avere certi pensieri, poichè vi è la tendenza ad attribuirvi un significato.

A ragione di questo cominciamo a mettere in atto una serie di meccanismi assolutamente controproducenti per cercare di “controllare” il contenuto della nostra mente. Speriamo di non pensarci, tentiamo di sopprimere il pensiero, cerchiamo di ignorarlo con tutta la nostra forza con l’ovvio, ma quanto mai paradossale effetto, che la portata, la frequenza e l’impatto negativo di tali pensieri risulti ancora più forte e ci condizioni in misura sempre maggiore.

Pensare ad un evento negativo non incide nella probabilità che questo accada, allo stesso modo che pensare alla pioggia non incide nel meteo. Solo che spesso noi non siamo così consapevoli di questo meccanismo pertanto ci lasciamo trasportare da quello che crediamo essere vero.

Cosa fare allora? Ricordare che i pensieri sono SOLO contenuti mentali, che molti di questi possono essere belli, brutti, assurdi, bizzari, perchè è così che la nostra mente funziona e che il modo migliore per “gestire” le angosce che da questi scatoriscono è proprio sollevarci dall’onere di doverlo fare. Lasciare scorrere i pensieri ed accettarli per quello che sono è il modo migliore per riuscire a liberarsene.

La pratica Mindfulness prevede degli esercizi mirati a sviluppare la consapevolezza del momento presente. Tale approccio fornisce gli strumenti per imparare a veder scorrere i propri pensieri come titoli di coda di un film proiettati nello schermo della nostra mente prestandovi un attenzione non giudicante in modo che questi passino, con il fine di contrastare la tendenza abituale  del “fare qualcosa” per controllare i propri pensieri spesso una delle principali fonte di sofferenza emotiva.

 

Dott.ssa Elena Mannelli

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Mindfulness: la consapevolezza al momento presente

mindfulness

Se sei depresso stai vivendo nel passato, se sei ansioso nel futuro, se sei in pace nel presente”

Lao Tzu

 

Il termine mindfulness è la traduzione inglese della parola “sati” che, nella lingua Pali,  significa “consapevolezza”.

È pertanto la (ri)scoperta della consapevolezza che si ottiene volgendo l’attenzione intenzionalmente e in modo non giudicante al momento presente.

Spesso la nostra testa corre veloce lungo binari che portano troppo indietro o troppo avanti. La mente ci funziona come una macchina del tempo, pronta a fare l’elenco di tutto ciò che è andato storto nel passato e tutto quello che andrà sicuramente male nel futuro. La macchina è sempre accesa. Mentre scriviamo al pc e mentre guidiamo la macchina, mentre prendiamo il caffè e facciamo la doccia.

cosa succederà domani?”, “perchè ieri mi ha detto questo?” “temo che non andrà bene” “come al solito ho sbagliato, dovevo far diversamente” sono queste domande la locomotiva del nostro treno.

Catene di pensieri rivolti al passato o al futuro pieni di punti interrogativi o rimproveri che spesso e volentieri sono  fonte di sofferenza emotiva.

Il risultato di questi intensi viaggi è scordarsi che la vita “è” nel momento in cui effettivamente si sta vivendo. Con quei suoni, quegli odori e soprattutto con quelle emozioni che, belle o brutte che siano, fanno parte della nostra esperienza al “momento presente”.

La vita ha luogo solo nel qui ed ora: non c’è nient’altro che può essere esperito direttamente. Tutto il resto, tutto ciò che riguarda passato o futuro immaginato, è una ricostruzione, un ricordo, un’immagine, un pensiero o un progetto.  Ed è questo lo scopo della mindfulness. Anzi, mi correggo, nella mindfulness non c’è uno scopo. È proprio imparare a non aver scopi ed aspettative (spesso negative  o irrealistiche), ma semplicemente osservare, curiosamente, quello che accade in noi e a  noi, in questo momento, in modo non giudicante, per accettarlo.

Appare chiaro come e perchè questa pratica, figlia di filosofie religiose e buddiste, abbia oltrepassato i confini per arrivare in occidente e all’interno del mondo non solo terapeutico, ma anche scientifico. La mindfulness oggi risulta un trattamento efficace per numerosi disturbi d’ansia, per prevenire le ricadute nella depressione, per la gestione dello stress e una crescente mole di studi sta testando l’efficacia di questa pratica in una sempre più vasta area di interesse clinico con ottimi risultati.

È altresi vero  che possiamo vedere la mindfulness come “un atteggiamento verso la vita” e non solo un trattamento per chi soffre, è pertanto rivolta a tutti coloro che vogliono imparare, o riscoprire, la capacità di “osservare ciò che accade mentre accade” e viverlo, nel momento presente, smettendo di combatterlo, allontanarlo, evitarlo, ma accettandolo come parte dell’esperienza della vita.

Scendendo una volta tanto dalla macchina del tempo della nostra mente.

 

Dott.ssa Elena Mannelli

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