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Depressione. Che cos’è?

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La parola depressione è entrata ormai nel modo comune di parlare, nel vocabolario di tutti i giorni, per indicare uno stato di momentanea tristezza, di umore basso e di difficoltà.

Purtoppo, però, la depressione propriamente detta è un male molto peggiore e imparare a vederlo, conoscerlo e soprattutto ri-conoscerlo nel suo primo insorgere è uno dei fattori principali e fondamentali per poi combatterlo.

Non è sempre facile capire se qualcuno che ci è vicino sta passando semplicemente “un brutto periodo” oppure se davvero ha una serie di caratteristiche che dovrebbero arrivare all’attenzione di uno specialista.

Il principale aspetto è il tono dell’umore, basso, si nota una tristezza che prima non c’era. Accanto a questo poi ruotano una serie di sintomi che riguardano il funzionamento globale della persona. Si possono notare cambiamenti nell’appetito (si mangia molto di meno, a volte molto di piu), si piange più spesso, si dorme poco, peggio, oppure fin troppo, senza mai sentirsi riposati, ci può essere un rallentamento anche nel modo di muoversi, o al contrario una agitazione fastidiosa, si manca di concentrazione nelle normali faccende quotidiane e non si rende più come prima, perchè si è stanchi. La persona che soffre di un disturbo dell’Umore, in questo caso Depressivo, tende a non avere più le energie per fare ciò che faceva naturalmente prima. Tutto questo ha un’intensità e una durata maggiori rispetto ad esperienze di “normale tristezza” che fanno parte della vita di ognuno.

Può essere scambiato per mancanza di volontà, ma è qualcosa di molto più profondo; ci possono essere pensieri di autocolpevolizzazione, autodenigratori che mantengono e rafforzano un potente circolo vizioso verso il basso.

Per le persone che stanno vicino è importante conoscere quali sono le manifestazioni della Depressione, poichè se ne può uscire. E’ vero che è un male fin troppo comune nel nostro mondo e in questo periodo storico, ma è un male al quale c’è rimedio. Le linee guida internazionali circa la salute mentale danno precise indicazioni di efficacia di terapie farmacologiche e soprattutto sottolinenano l’importanza delle psicoterapie.

L’approccio cognitivo-comportamentale è il trattamento d’elezione per queste problematiche poichè lavora contemporaneamente sugli aspetti del pensiero e sui comportamenti per ri-attivare la persona restituendo serenità e voglia di fare.

Monologo sulla Paura

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Fare luce su quali siano le nostre paure ci aiuta a capire perchè a volte nella vita ci arrestiamo e non andiamo avanti.
La paura è un’emozione umana, necessaria, fondamentale e dirompente, non va temuta, ma vissuta.
Ci aiuta a scappare dai pericoli, ad affrontare e fronteggiare le sfide, ci aiuta a vincere perchè ci fa combattere, ma quando è lei a primeggiare su di noi è un’arma che usiamo puntata contro la nostra stessa vita e ci paralizza impedendoci di andare a vedere oltre.
Un meraviglioso monologo tratto dal Film Happy Family di Gabriele Salvatores del 2010 illustra in modo molto toccante le paure del nostro tempo.

Il problema è che abbiamo paura, basta guardarci.

Viviamo con l’incubo che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo costruito possa distruggersi.

Con il terrore che il tram su cui siamo possa deragliare.

Paura dei bianchi, dei neri, della polizia e dei carabinieri;
con l’angoscia di perdere il lavoro ma anche di diventare calvi, grassi, gobbi, vecchi, ricchi.

Con la paura di perdere i treni e di arrivare tardi agli appuntamenti;
che scoppi una bomba, di rimanere invalidi;
di perdere un braccio, un occhio, un dente, un figlio, un foglio.
Un foglio su cui avevamo scritto una cosa importantissima.

Paura dei terremoti, paura dei virus;

paura di sbagliare, paura di dormire;
paura di morire prima di aver fatto tutto quello che dovevamo fare.
Paura che nostro figlio diventi omosessuale, di diventare omosessuali noi stessi.
Paura del vicino di casa, delle malattie, di non sapere cosa dire;

di avere le mutande sporche in un momento importante.
Paura delle donne, paura degli uomini;
paura dei germi dei ladri, dei topi e degli scarafaggi.
Paura di puzzare, paura di votare, di volare;
paura della folla, di fallire;
paura di cadere, di rubare, di cantare;
paura della gente;

Paura degli altri.

Tratto dal Film “Happy Family” (2010) di G. Salvatores

Perchè scelgo sempre la persona sbagliata?

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Le relazioni interpersonali sono quanto di più difficile da gestire, comprendere e far riuscire. Ma al contempo sono quanto di più necessario.La spinta alla ricerca di vicinanza, di accudimento, di qualcuno che si prenda cura di noi, è un bisogno innato, è nel bambino di poche settimane come nell’adulto affermato che pensa di bastare solo a se stesso.

Ma allora, com’è possibile che sia così complicato? Com’è possibile che nonostante sia la nostra stessa natura a portarci verso l’altro, alcune persone non riescano che s (ri)trovarsi di fronte all’ennesima persona sbagliata e paradossalmente simile, in modo spaventoso, all’ultima ex storia dalla quale siamo usciti con strazio e fatica?

La risposta, non certo facile da dare, va ricercata nella nostra personalità e nell’insieme di esperienze più o meno precoci che hanno contribuito al nostro sviluppo. Il cambiamento è spesso difficile, ma non impossibile. Il reiterarsi delle stesse situazioni dipende dal modo in cui noi abbiamo imparato a vedere noi, il mondo e gli altri e, poichè non c’è niente di più spaventoso dell’incerto, tenderemo, in maniera per lo più inconsapevole, a fare in modo che si verifichino sempre le stesse situazioni.Saranno dolorose, spesso, ma almeno prevedibili.

Imparare a conoscere e conoscersi è sicuramente una strategia utile per mettere in luce tutto quello che può essere un ostacolo al nostro cambiamento. Il fine sarà la serenità di rapporti paritari, non più basati su distorte visioni di sè, in modo che anzichè farci male e farci fare del male, questi rapporti diventino fonte di benessere e sicurezza

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Più una cosa fa paura più ci sembra probabile che possa accadere e questo rende la nostra paura ancora più soffocante. Questo accade frequentemente in persone che soffrono di disturbi d’ansia. Tecnicamente si parla di “sovrastima del pericolo” cioè quella tendenza a vedere come più probabile un’intera gamma di conseguenze negative e catastrofiche a partire dalle situazioni quotidiane e a concepire il pericolo insisto in tali eventi spesso come irreparabile e inevitabile. Affiancato da pensieri di non essere all’altezza di fronteggiare situazioni difficili sono il cuore della sofferenza di molti pazienti.

Nel Disturbo Ossessivo Compulsivo questo è un nucleo centrale, anche se non il solo, che contribuisce al permanere della sofferenza e della patologia stessa. A sostegno del’ipotesi che in tali soggetti possa esserci una distorta percezione della realtà un gruppo di ricercatori della Germania hanno condotto uno studio sperimentale in modo da valutare se, in pazienti affetti da tale sintomatologia, la distorsione non si verificasse solo a livello di pensiero, ma anche a livello percettivo.

Quello che emerge dai risultato è proprio la tendenza di pazienti con DOC a ricordare come più grandi stimoli legati allo spettro ossessivo rispetto a stimoli neutri.

Questo sostiene l’importanza di ricordare sempre che come noi valutiamo le cose ha un forte impatto su come queste risuonino in noi e che modificando il modo con cui ci rapportiamo agli eventi possiamo migliorare anche il modo di viverli.

 

vedi articolo completo http://www.stateofmind.it/2013/09/disturbo-ossessivo-compulsivo-dimensioni/

 

Mi preoccupo di NON preoccuparmi!!!

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È intuitivo e comprensibile cercare di alleviare le emozioni negative, cioè tutti quegli stati dolorosi nei quali effettivamente soffriamo e stiamo male. Ci possiamo rivolgere ad uno specialista perchè si è tristi, perchè si è angosciati, perchè ci si sente sempre e troppo arrabbiati, perchè si soffre di ansia, ma si può avere timore della tranquillità?

Può apparire paradossale avere paura della quiete e,in un certo senso, quello che i pazienti ansiosi chiedono è proprio “ vivere senza ansia” (cosa, per altro, fortunatamente non possibile). In realtà, approfondendo maggiormente le dinamiche di pensiero, spesso si arriva a capire che  una delle emozioni meno tollerate, e spesso attivamente evitate, dai pazienti ansiosi sia proprio la tranquillià

Nel disturbo d’ansia generalizzato, soprattutto, il soggetto è continuamente pressato da molte preoccupazioni che riguardano la salute propria e dei familiari, oppure le condizioni economiche della famiglia, o qualsiasi altro evento proitettato nel futuro (e nella mente) denso di incognite, che generano ansie e pensieri vorticosi in un flusso che appare inarrestabile. Queste preoccupazioni, se da una parte vengono vissute come eccessive e fuori controllo, dall’altra però sono tenute in piedi da una spesso sottile consapevolezza o sensazione che preoccuparsi per il domani, in un certo modo, prepari a fronteggiare l’evento imprevisto, laddove si verificasse. Se ciò è vero, risulta spiegabile perchè l’assenza di preoccupazioni porti con sè, in queste persone, quella sensazione di “preoccupata tranquillità” che fa pensare se sono tranquillo significa che non mi sto preoccupando e se non mi sto preoccupando significa che sono più vulnerabile agli eventi inattesi.  Dando via e alimentando nuovamente la spirale dei pensieri ansiosi e con essi il malessere e lo stato di tensione che normalmente li accompagna. La quiete da apparente meta viene vissuta come uno stato di debolezza, lo stare tranquillo equivale all’essere impreparato.

L’obiettivo, in questi casi,  non sarà solo quello di non vivere nel malessere, che è il primo intervento della terapia ma anche e soprattutto di saper e imparare a godere del presente e delle emozioni di quiete e di serenità, con la mente libera da pre-occupazioni dedicandosi all’attimo presente in contatto con la realtà incrementando così un approccio maggiormente positivo (e non più difensivo) alla vita quotidiana.

 

PARENT TRAINING: incontri per genitori di bambini iperattivi

Prendersi cura di bambini iperattivi può portare i genitori a situazioni di grave stress che rischiano di ripercuotersi negativamente sulle relazioni all’interno e al di fuori della famiglia.

I genitori, di fronte ai comportamenti problematici del figlio, si sentono spesso confusi e hanno l’impressione di non avere a disposizione strategie e strumenti utili per stabilire una relazione positiva con il bambino. Talvolta tutto ciò può generare sensazioni di frustrazione, rabbia, colpa e impotenza.

Il Parent Training (corso per genitori) si propone di modificare quelle modalità di relazione che risultano disfunzionali, fornendo strumenti utili per sostenere i genitori nel delicato compito di accompagnare la crescita dei figli e di prevenire le situazioni critiche.

Tale percorso da la possibilità ai genitori di vivere ed affrontare con consapevolezza la complessa realtà umana, sociale, affettiva e psicologica del loro bambino con iperattivo.

Il percorso prevede una decina di incontri, che diverranno un vero e proprio processo di problem solving (soluzione di problemi) da un lato, rispetto alle cose che si possono modificare, e dall’altro di accettazione consapevole, di quello che non è possibile modificare. L’obiettivo sarà migliorare la relazione con il proprio figlio e aiutarlo a gestire al meglio i suoi comportamenti, le sue emozioni e i suoi pensieri, nei contesti in cui trova difficoltà.

Referente: dr.ssa Chiara Mercurio

TRAINING AUTOREGOLATIVO PER BAMBINI CON ADHD

Il Training Autoregolativo è un intervento svolto insieme al bambino con l’obiettivo di lavorare sul potenziamento delle sue capacità di autocontrollo e autoregolazione – deficitarie nel Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD, acronimo in inglese di “Attention Deficit/Hyperactivity Disorder”).

Le aree interessate sono:

  • L’attenzione
  • I comportamenti impulsivi
  • Il controllo della memoria di lavoro

Il percorso propone l’insegnamento di diverse tecniche tra cui le autoistruzioni verbali, il problem solving; con l’obiettivo di sviluppare il dialogo interiore per regolare il proprio comportamento, sensibilità e consapevolezza metacognitiva, cioè di riflessione sul proprio comportamento e sul proprio pensiero.

Il training autoregolativo – è stato dimostrato (Kendall e Braswell, 1990; Kendall, 1992) – si ripercuote positivamente nell’ambito familiare, sociale e scolastico.

Referente: dr.ssa Chiara Mercurio

Per il cervello dei bambini, a nanna presto

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Mandarli a dormire tardi può influenzare lo sviluppo del cervello dei bambini? Secondo la Prof.ssa Amanda Sacker del Dipartimento di Epidemiologia e Salute Pubblica dell’Università di Londra, la risposta è sì.

Far fare le ore piccole ai bambini ridurrebbe sensibilmente le loro abilità cognitive. Lo dimostrerebbe lo studio del team di ricercatori del college londinese, che hanno osservato circa 11.000 bambini di sette anni, registrando l’ora in cui venivano messi a letto ed esaminando i punteggi ottenuti in test di lettura, matematica e abilità di orientamento spaziale a cui venivano sottoposti successivamente.

I risultati hanno dimostrato che essere troppo permissivi sulle abitudini del sonno condurrebbe a punteggi cognitivi più bassi, in particolare se le abitudini irregolari iniziano durante la primissima infanzia.

Il ruolo dei pensieri nel Disturbo Ossessivo Compulsivo

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Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo l’attenzione del soggetto è rivolta in modo quasi esclusivo ai propri pensieri ed è il ripetersi “Non ci voglio/non ci devo pensare“, che alimenta e perpetua la sintomatologia così come la sofferenza.

Perchè il 40% circa dei pazienti affetti da Disturbo Ossessivo Compulsivo non risponde in modo ottimale al trattamento evidence-based di esposizione e prevenzione della risposta?

Nel tentativo di rispondere a questa domanda l’equipe di ricerca dello Studio Coradeschi ha condotto uno studio che rileva come le credenze del soggetto relative all’ importanza dei pensieri siano l’ aspetto in grado di predire l’esito del trattamento. Con ciò ci si riferisce alla tendenza a sopravvalutare l’importanza attirbuita al ruolo dei pensieri e a ritenere che la presenza di questi sia e debba essere sempre giustificata.

Tale aspetto risulta essere estremamente rilevante per a pratica clinica e per la possibilità di introdurre specifiche tecniche cognitive che possano agire direttamente sugli aspetti centrali del disturbo.

Vedi articolo di Davide Coradeschi , Andrea Pozza e Davide Dèttore pubblicato su State of Mind

http://www.stateofmind.it/2013/07/disturbo-ossessivo-compulsivo-resistente/

 

 

Oh no, mio figlio è stato bocciato!!!!

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La fine dell’anno scolastico è un periodo critico per i figli, ma anche per i genitori che sperano e vivono l’attesa dei risultati, a volte con più patos dei figli stessi.

Finalmente arrivano i tanto agognati quadri.. il dito scorre lungo i nomi dei ragazzi della classe e si cerca quello del proprio figlio … ma accanto cosa c’è? “NON AMMESSO”

 un mix di sentimenti, pensi eri e stati fisiologici alterati ci pervade …iniziamo a sudare, il cuore palpita e avvampiamo non solo per il caldo, l’arsura si fa sentire e un nodo in gola non ci permette di deglutire …siamo delusi, arrabbiati, preoccupati, dispiaciuti … e iniziamo a pensare:

“e ora come faremo?” “quando torno a casa mi sente!” “glielo avevo detto che avrebbe dovuto studiare!” “le vacanze? beh con questi risultati saranno un miraggio!!!” “sicuramente sarà stato l’insegnante di matematica.. ce l’ha sempre avuta con lui!!”E’ chiaro che l’insuccesso scolastico dei nostri figli può destabilizzarci, ma non scordiamoci che se è accaduto bisognerà trovare un modo per accompagnare i nostri figli a superare quest’insuccesso che, se non guidato verso la soluzione e il superamento della difficoltà, potrà minare l’autostima e il senso di autoefficacia del ragazzo.Prima di tutto ascoltiamo le emozioni del figlio non ammesso, anche se le nostre ci rapiscono l’attenzione è importante sforzarci di pensare che chi non è stato ammesso non siamo noi genitori, ma nostro figlio, è lui che sta subendo un insuccesso in prima persona e il nostro compito è di accoglierlo sempre nella sua sofferenza, prima ancora di dargli “una lezione”. Noi siamo la loro guida e se ci lasciamo travolgere dalle nostre emozioni rimaniamo in balia della stessa tempesta in cui si trovano loro, andando insieme alla deriva… ricordiamoci di mostrargli la bussola così da aiutarli a riorientarsi.

Come agire:

  • Accogliamo la sua delusione, rabbia, frustrazione; “mi dispiace di questo risultato deve essere stato molto brutto per te..” se abbiamo avuto un’esperienza analoga nella nostra storia scolastica la possiamo condividere proprio in quel momento, avrà un effetto rassicurante su nostro figlio “beh se è successo anche a te e sei comunque riuscito a superarlo ce la farò anche io”
  • Apriamo un dialogo sull’argomento, quando la tensione emotiva è scesa “come pensi di essere arrivato alla bocciatura.. cosa non ti ha permesse di essere promosso?” è importante rimanere calmi e mantenere un atteggiamento NON GIUDICANTE, se non siamo calmi aspettiamo ad aprire il dialogo.
  • Preveniamo insieme significa sempre all’insegna del dialogo e dell’ascolto ragionare su modalità più funzionali per affrontare la scuola l’anno che verrà.

 

In pratica l’insuccesso scolastico dei figli pone non pochi problemi educativi e familiari. La bocciatura dovrebbe essere considerata come il mancato raggiungimento di obiettivi scolastici e competenze raggiunte ma in genere viene vissuta dagli interessati come una bocciatura della persona e con relativo abbassamento dell’autostima. Le responsabilità della bocciatura in genere viene suddivisa tra il nullo o scarso impegno del figlio e la mancanza di competenza della scuola. Tra le accuse reciproche, è facile che ci si dimentichi dell’obiettivo fondamentale: quello di superare le emozioni negative dovute all’insuccesso e ritrovare le motivazioni allo studio. Il ragazzo dovrebbe essere sostenuto, sia da parte della famiglia che da parte della scuola, nel dare un senso alla bocciatura, aiutando il ragazzo a parlare del proprio percorso scolastico. Individuare insieme i segnali che potevano predire l’esito negativo, in modo da poter ritrovare gli obiettivi che i genitori o i figli si sono prefissati. Rintracciare nella voglia di studiare non solamente un dovere sociale, ma anche un piacere di poter studiare con calma e serenità per realizzare il proprio futuro. Minimizzare o esasperare l’accaduto serve a poco, come già detto la famiglia dovrebbe aiutare a riconoscere l’emozione che si sta provando, individuare le cause e interrogarsi sul percorso scolastico migliore per le capacità della persona. Trasformare l’emozione negativa in reazione costruttiva, che riconoscono le proprie responsabilità e metto in atto speranza e grinta per riprendere il cammino verso il futuro scolastico.

 È bene chiarire perché una bocciatura può ledere l’autostima e quindi è importante spiegare cosa è l’autostima e cosa è in particolare l’autostima scolastica:

L’autostima deriva dalla discrepanza tra il Sé percepito e il Sé ideale.Il concetto di Sé, e di conseguenza l’autostima, è articolato in varie dimensioni correlate agli aspetti della vita che sono importanti per noi.le principali dimensioni dell’autostima riguardano:

L’autostima sociale (o interpersonale): comprende i sentimenti della persona riguardo a se stessa come amica di altri. Le altre persone la considerano simpatico? Apprezzano le sue idee? La ricercano per coinvolgerla in attività? E’ soddisfatta delle relazioni che intrattiene con gli altri?

L’autostima familiare: riflette i vissuti che una persona prova come membro della propria famiglia. Chi sente di essere un membro apprezzato della sua famiglia, che dà il proprio contributo e che si sente certo dell’amore e del rispetto di genitori e fratelli, avrà un’alta autostima in questo ambito.

L’autostima corporea: è una combinazione di aspetto fisico e di abilità. Consiste nella soddisfazione che una persona prova rispetto al proprio corpo e alle proprie prestazioni. Culturalmente le ragazze sono più attente agli aspetti estetici e i ragazzi alle performance atletiche. Negli ultimi anni, però, i ruoli tradizionali stanno subendo dei cambiamenti. L’insieme di queste valutazioni costituisce l’autostima globale quindi la propria idea (concetto) di Sé.

L’autostima scolastica: è il valore che l’individuo attribuisce a se stesso come studente. Questa dimensione non è semplicemente una valutazione delle capacità e dei successi scolastici. Questi, infatti, vengono comparati con le proprie aspettative. Se si riesce a raggiungere i propri standard di successo scolastico (standard modellati dalla famiglia, dai compagni e dagli insegnanti), allora la propria autostima scolastica sarà positiva.

Le cause della bassa autostima possono essere dovute ad un ideale di Sé troppo elevato, ad una percezione distorta di Sé o ad un’oggettiva disabilità.

Migliorare l’autostima è possibile, ma è necessario individuare a quale livello e in quale dimensione deve essere posta la causa responsabile del basso livello di stima di sé. Così, una bassa autostima scolastica può essere compensata da una buona autostima sociale e familiare oppure una scarsa autostima corporea può essere compensata da un’alta autostima scolastica. L’eventuale intervento potrà perciò riguardare il ridimensionamento degli ideali irreali, la modificazione dell’auto-percezione o il potenziamento delle abilità. Se le difficoltà legate alla scuola, allo studio o alla relazione tra genitori e figli sembrano più complesse e difficili da superare si può pensare di cercare un dialogo con la scuola e se è il caso consultare uno psicologo.

 

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