Psicologia, Psichiatria e Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale Centro di Schema Therapy EMDR e Mindfulness ad Arezzo

Archivio per la categoria News

CORSO DI ABILITA’ SOCIALI migliorare il rapporto con gli altri

CORSO ABILITA’ SOCIALI

Esercizi di gruppo guidati da psicologi esperti per migliorare la propria sicurezza nei rapporti sociali imparando a dire di no, far rispettare le proprie opinioni e bisogni, vincere la timidezza allenando le capacità di conversare ed aumentare l’autostima.

  • tutti i venerdì dalle 18 alle 1930 presso lo studio coradeschi
  • durata: 10 incontri
  • necessaria iscrizione: info@studiocoradeschi.org  tel. 0575 354935 cell. 339 8181946

Gestire e ridurre lo stress?

Ecco alcuni suggerimenti su come gestire e ridurre lo stress in modo efficace di fronte alle sfide che inevitabilmente incontreremo sul nostro cammino. 

A cura della dr.ssa Chiara Mercurio

reslienza

Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra.

Gli antichi connotavano il gesto di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo “resalio”.

Probabilmente il nome delle qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, resilienza, deriva proprio da qui.
Noi esseri umani siamo progettati per affrontare con successo difficoltà e stress. Generazione dopo generazione, l’evoluzione ha modellato i nostri progenitori perché fronteggiassero efficacemente ogni sorta di ostacolo e problema. Discendiamo da gente che è sopravvissuta ad un’infinità di predatori, guerre, carestie, malattie, catastrofi naturali e che ci ha trasmesso i propri geni: possediamo dentro di noi un insieme di risorse che abbiamo ereditato dal passato, chiamato “resilienza” o resistenza psicologica.

Da millenni di osservazione del funzionamento umano possiamo, quindi, concludere che è la resilienza ad essere la norma negli esseri umani, non la fragilità. Addirittura è stato sostenuto che condizioni difficili possano aiutare le persone a ritrovare l’equilibrio psicologico. La necessità di combattere ha la sua ragion d’essere nell’inevitabilità delle sconfitte, delle delusioni e dei conflitti quotidiani, fino a quegli sconvolgimenti esistenziali, come una violenza o la perdita di una persona cara, che spezzano un equilibrio preesistente.

Quindi, “resiliente” sta ad indicare l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà; la capacità di persistere nel perseguire gli obiettivi, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino.

Ecco qui di seguito alcune delle caratteristiche che rendono le persone maggiormente resilienti, cioè in grado di gestire e ridurre lo stress; prenditi un momento per riflettere…ritrovi in te alcune di queste capacità?

  • la tendenza a leggere gli eventi avversi come momentanei e circoscritti;
  • la capacità di vedere “il grigio” e non ragionare in termini di “tutto bianco/tutto nero”;
  • ritenere di possedere un margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che la circonda; e allo stesso tempo riconosce e accettare di non aver controllo su tutto;
  • la capacità di trovare e mantenere la motivazione a raggiungere gli obiettivi desiderati;
  • la tendenza a vedere i cambiamenti nella propria vita come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia;
  • la flessibilità mentale, ovvero la capacità di vedere più alternative (non solo i possibili esiti negativi di una situazione ma anche quelli positivi!);
  • la tolleranza alla frustrazione;
  • la capacità di non perdere la speranza di fronte alle sconfitte;
  • ritenere di avere le capacità per far fronte alle avversità e/o credere possibile apprenderne e svilupparne di nuove.
  • l’ottimismo, ossia la disposizione a cogliere anche il lato buono/utile di una situazione dolorosa.
  • l’autostima: avere una giusta considerazione di sé.
  • l’umiltà, cioè la capacità di riconoscere di aver bisogno di aiuto e la capacità di chiederlo quando è necessario.

Ecco la buona notizia: è possibile diventare più resistenti allo stress!

…continua

 

Vivere consapevolmente

A cura di dott. Rossano Bisciglia
130922-130551
La consapevolezza è il principale strumento di sopravvivenza. Essere consapevoli del nostro ambiente e della nostra realtà ci rende capaci di agire a qualche livello nella nostra vita. La consapevolezza è un atto di volontà. Questo vuol dire che possiamo scegliere di cercare la verità o di trascurarla, di darci un obiettivo o di non darcelo. Nel farlo o nel non farlo decidiamo che tipo di persona vogliamo essere, quindi decidiamo il destino della nostra autostima. Vivere consapevolmente vuol dire essere consci dei nostri pensieri, emozioni, obiettivi e valori. Questo ci consente di comportarci in accordo con quello che vediamo e sappiamo. Oltre a conoscere la realtà, la consapevolezza ha a che fare con l’agire su quanto si sa e si vede. Significa vivere nello stato mentale giusto per quello che sto facendo. Non dobbiamo per forza farci piacere quello che vediamo, ma riconosciamo che le cose sono come sono, e quelle che non sono non sono. I desideri, la paura, la negazione non alterano e non cambiano i fatti. Se un’affermazione è vera, il fatto che io la neghi non la renderà falsa. I nostri sentimenti non sono una guida infallibile. Possiamo imparare dai nostri sentimenti, ma questo implica una verifica della realtà, cioè l’intervento della ragione. Vivere consapevolmente significa assumersi la responsabilità: dal momento che sono responsabile della mia felicità, scelgo di essere consapevole e di farmi guidare dalla più chiara comprensione di cui sono capace. Non mi abbandonerò alla fantasia che qualcun altro possa risparmiarmi la necessità di pensare o di decidere per me. Vivere il momento presente: voglio essere nel momento presente, ma non intrappolato in esso. Solo questo equilibrio mi permetterà di attingere a tutte le mie risorse. Non ritrarsi dalla realtà: cerco di continuo nuovi dati che potrebbero risultarmi utili. Fatti, interpretazioni e emozioni: ti vedo corrugare la fronte, lo interpreto come un segnale di collera nei miei confronti, mi sento ferito, vittima di un torto. Questo potrebbe avere un’altra interpretazione…. quale ?? L’unica cosa certa è che hai corrugato la fronte, il resto parla più di me che di quello che è successo. Cosa significa per me il fatto che lui/lei abbia corrugato la fronte ? Per vivere consapevolmente devo essere sensibile e attento nel distinguere fatti, interpretazioni e emozioni. Paura e dolore: paura e dolore non devono farmi chiudere gli occhi ma aprirli ancora di più. Preoccuparsi di vedere dove mi trovo rispetto ai propri progetti o desideri. Vivere consapevolmente significa monitorare le azioni che volgo ai miei obiettivi. Disponibilità a riconoscere e correggere gli errori: a volte mi affeziono alle mie idee. Vivere consapevolmente significa riconoscere la realtà, non cercare a tutti i costi di avere ragione. Tutti ci sbagliamo qualche volta, ma se leghiamo la nostra autostima al fatto di essere infallibili, o se siamo eccessivamente legati alla nostre posizioni, rischiamo di restringere la nostra consapevolezza. Sentirsi umiliati nell’ammettere un errore è un sicuro segno di autostima difettosa.
A proposito di Dipendenza: nei problemi di dipendenza si vede chiaramente come la persona eviti con tutte le sue forze la consapevolezza. Quando diventiamo dipendenti dalle relazioni distruttive, l’intenzione esplicita è sempre quella di alleviare l’ansia e la paura, ovvero sfuggire dai propri personali sentimenti di impotenza e sofferenza. L’ansia e il dolore non si estinguono ma diventano meno percepibili. Dal momento che inevitabilmente tornato alla superficie con sempre maggiore intensità, sono necessarie dosi sempre maggiori di veleno per tenerli a bada. Per avvelenarmi ho bisogno di spegnere la consapevolezza. L’atto di autodistruzione riesce meglio al buio.

Per me vivere consapevolmente vuol dire … le affermazioni che seguiranno saranno in grado di fornire la temperatura della consapevolezza e quindi un parametro importante per misurare l’autostima.

“Il ruolo del controllo in un corto che ci insegna qualcosa di importante sulla Vita”

Prendetevi 6 minuti di tempo per riflettere e godere di un filmato che fa riflettere

Negli ultimi tempi i cortometraggi, spesso sotto forma di cartone animato, sono un modo efficace e d’impatto per farci arrivare messaggi anche complessi in un modo emotivamente riflessivo.

A tal proposito mi sono imbattuta recentemente in un corto che tutti dovremmo guardare e prenderci il tempo e una pausa di 6 minuti per riflettere su qualcosa di importante.

 

La storia racconta di Dechen un monaco “in formazione” con la passione per il giardinaggio. Durante una notte tempestosa sceglie di prendere dal giardino il suo fiore preferito per portarlo al riparo dalle intemperie al caldo della sua stanza.

Tuttavia, nonostante le sue preoccupazioni e le sue attenzioni il fiore comincia a perire e il povero ragazzo soffre cercando di accettare la situazione.

Interviene poi un secondo monaco, guida del giovane, per insegnarli qualcosa che nella vita, non solo del fiore, sarà davvero centrale; Dechen trova il modo di salvare se stesso e la piccola pianta quando impara che la necessità di controllo è stato il vero veleno per la pianta.

Nella società moderna esercitare il controllo è un must, qualcosa da rincorrere, esistono manuali per qualsiasi necessità, prêt-à-porter e selfhelp per venire fuori da qualsiasi situazione che non ci piace.

Penso, pianifico, controllo, eseguo.

E cosi avanti.

Ma ci sono cose che non possono rispondere a questa sequenza.

Fiori, emozioni, partner, figli o qualsiasi altro evento che per definizione non sarà mai controllabile al 100% dal nostro volere o potere, per impossibilità stessa della cosa. Ma che anzi, si indebolisce quando tale tentativo diventa totalizzante e indispensabile. Seppur, ovviamente, mosso dai migliori intenti di protezione e benessere, sia chiaro.

Non siamo, fortunatamente, onnipotenti.

Nel corto scelto si evidenzia chiaramente cosa succede se cerchiamo di smettere di controllare. Il piccolo fiore torna a vivere proprio perché esposto alle intemperie che non significa necessariamente essere esposto a qualcosa di nocivo seppur negativo.

Proviamo a pensare a cosa possa voler dire per noi ogni tentativo di controllo che facciamo sui nostri pensieri o sulle nostre emozioni.

Non volerne, negarle, rinchiuderle, soffocarle, non ottiene quasi mai la direzione sperata.

Tanto più se al posto del fiore mettiamo un progetto di vita, un sentimento, un figlio o un partner.

Non significa in alcun modo lasciare la pianta (o nostro figlio) senza tutele nel mondo, né non fare nulla per il nostro stato d’animo per farci stare meglio, ovviamente. Ma significa lasciare libero di essere, di andare, di accadere.

Significa eliminare quella smania che spesso non siamo consapevoli di avere, di voler che le cose vadano esattamente come pianificate. Che pensando, preoccupandoci si eviterà qualcosa di brutto. Ma delle volte è l’incidente che crea l’opportunità.

E non parlo di un caso che significhi caos, ma neppure causa, ma di lasciare che le cose siano quello che sono, in modo libero e consapevole.

Parlo della flessibilità come altra faccia della rigidità.

Parlo di questo per non cadere nella paura dell’incertezza. La paura che immobilizza le scelte, congela l’azione e impedisce lo scorrere delle cose e crea problemi di ansia per esempio.

Smettere di esercitare il controllo sui pensieri ci libera dalla trappola di questi, smettere di anticipare catastrofi che spesso non avverranno, arricchisce le nostre esperienze che sono davvero la fonte di insegnamenti profondi.

Il controllo della relazione, il monitoraggio continuo di questa e i tentativi di non volerla mai esposta alle intemperie, la rende debole proprio come il fiore del video.

Oppure ancora la capacità di lasciare il controllo sul cammino dei figli porgendo la mano quando cadono ma non tracciandone la strada su passi stabiliti è quello che darà la possibilità di prendere scelte libere e consapevoli a lui sulla base delle proprie passioni e capacità.

È l’affanno di fare qualcosa, di farlo per bene, dettato dalla paura che qualcosa di brutto sia sinonimo di nocivo, che rende gli avvenimenti denaturati, e di conseguenza, la maggior parte delle volte, più ostili o complessi.

Proprio come la pianta che al calduccio delle premure del piccolo Dechen perdeva forza anziché trovarla.

La psicoterapia è un valido aiuto soprattutto per imparare a conoscere se stessi e quali sono le proprie dinamiche disfunzionali dettate dal bisogno di controllo e di prevenire.

Anche interventi basati sulla Mindfulness o sull’ACT (acceptance and commitment therapy) aiutano a maturare un atteggiamento volto alla capacità di lasciar scorrere, lasciar essere, lasciar andare, insegnando a stare nelle cose per come sono senza la frenesia del manomettere per renderle come dovrebbero, vorremmo, che fossero.

 

Elena Mannelli

Il Disturbo Ossessivo – Compulsivo da relazione: “Sarà quello giusto per me?”.

f0ba2bfd8f936a77d3b146acfe9443c7_xl

A cura della dott.ssa Giovanna Mengoli

“M’ama, non m’ama

Se dubbio d’amor

troppo ti è duolo

scegli una margherita

con un petalo solo.”

Stefano Benni – Margherita Dolcevita

Può capitare a tutti di nutrire dei dubbi sulla nostra relazione sentimentale o sul partner.

“è veramente la persona giusta per me? È veramente ciò che voglio?”.

 Tutti noi sperimentiamo spesso sentimenti contrastanti rispetto alla persona amata, oppure possiamo provare attrazione per altri uomini o donne e domandarsi cosa possa significare per il nostro rapporto o se ciò possa in qualche modo condizionarne il decorso o la sua stabilità nel tempo.

Tuttavia, quando i dubbi e le preoccupazioni diventano eccessivi e creano un significativo disagio personale e di coppia, portando anche ad una compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e in altre aree importanti della vita, allora siamo probabilmente di fronte a un Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione vale a dire una sintomatologia ossessivo-compulsiva che ha il suo focus sulle relazioni intime e che solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico che di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014).

Le persone affette da questo disturbo arrivano a rimuginare ed a tormentarsi con sofferenza circa il possibile andamento della relazione affettiva. E’ da notare come solitamente queste persone non sono in crisi con il proprio partner, anzi la relazione sembra essere soddisfacente sotto diversi punti di vista. Ciò nonostante non riescono a rasserenarsi e sono rigidamente convinte che il loro rapporto abbia comunque un difetto, quindi il loro scopo diventa individuarlo, per poi disconfermarlo.

In alcuni casi l’esordio sintomatologico consegue a decisioni importanti dal punto di vista relazionale, come ad esempio una proposta di matrimonio o l’avere figli. In altre situazioni, i sintomi ossessivo-compulsivi si verificano dopo la chiusura di una relazione sentimentale: la persona si preoccupa ossessivamente di quanto il partner precedente fosse la persona giusta, temendo di rimpiangere la sua scelta per sempre; e così sente il bisogno di rassicurarsi per esempio ricordandosi i motivi per i quali la relazione è stata chiusa, oppure richiamando alla memoria i conflitti vissuti, come a trovare una giustificazione di quella scelta.

Tipologie di Doc da Relazione.

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo da Relazione si manifesta in due forme sintomatologiche:

  • con sintomi ossessivo-compulsivi centrati sulla relazione (relationship-centered);
  • con sintomi ossessivo-compulsivi focalizzati sul partner (partner-focused)

Nella prima forma, centrata sulla relazione, i dubbi e le preoccupazioni riguardano i sentimenti che la persona prova verso il partner e che quest’ultimo prova verso la persona (“Mi sto chiedendo continuamente se lo/la amo davvero” “se l’altro giorno ho guardato quella ragazza forse vuol dire che sono attratto da altre donne e quindi che non sono innamorato”).

Oppure l’autenticità dei sentimenti del partner nei propri confronti e infine la correttezza della relazione “controllo continuamente se la relazione va bene così oppure se c’è qualcosa che non va”.

Nella seconda forma, con sintomi focalizzati sul partner, i dubbi ossessivi riguardano invece difetti percepiti nel partner relativamente all’aspetto fisico, alle capacità intellettive, sociali o a caratteristiche di personalità, quali il livello di moralità.

L’esperienza clinica e le ricerche scientifiche hanno mostrato che entrambe le tipologie spesso sono presenti contemporaneamente. Molte persone descrivono di essere dapprima ossessionate da un difetto percepito del loro partner (ad esempio, relativamente all’aspetto fisico) e poi successivamente il dubbio vira sulla relazione, su quanto possa essere ‘giusta’, dato proprio quel limite fisico. Può verificarsi anche il viceversa: si inizia ad avere dubbi sulla relazione e solo in un secondo momento si diventa preoccupati di un qualche difetto del partner. In questo caso il pensiero intrusivo riguardante il difetto del partner potrebbe essere considerato proprio il segno di qualcosa che non va nella relazione di coppia.

DOC da relazione: le Compulsioni

Come prerogativa di ogni forma di disturbo ossessivo-compulsivo, ai dubbi e alle preoccupazioni si associano una varietà di compulsioni il cui scopo è quello di tentare di sopprimere/ridurre la frequenza di questi pensieri, così come ridurre l’incertezza rispetto al contenuto.

Le compulsioni più comuni che le persone con DOC da relazione tendono a mettere in atto sono le seguenti:

  • prestare attenzione e controllare i propri sentimenti (“Provo amore nei confronti del mio partner?”) e i propri comportamenti (“Sto forse guardando altre donne/uomini?”);
  • confrontare la propria relazione con quella di altre persone, come amici, colleghi o anche le relazioni sentimentali di personaggi della tv (“Sono felice come loro?”);
  • rassicurarsi richiamando alla memoria esperienze con l’attuale partner in cui si sono sentite certe di ciò che provavano.

Le persone che soffrono di DOC da relazione spesso provano a evitare le situazioni che possono fungere da innesco ai loro pensieri indesiderati e ai loro dubbi sulla relazione di coppia. Per esempio, possono evitare occasioni sociali con amici riconosciuti come ‘la coppia perfetta’ oppure vedere un film romantico, per il timore di rilevare una discrepanza tra che ciò che provano nei confronti del proprio partner e l’amore passionale e travolgente che magari contraddistingue i protagonisti del film.

Quando chiedere aiuto?

Come abbiamo già detto può capitare a tutti di notare un difetto nella persona amata e qualcosa che non va nel proprio rapporto e di conseguenza nutrire dei dubbi sulla nostra relazione, non per questo dobbiamo ritenerci sofferenti di un disturbo ossessivo-compulsivo.

Come per ogni altro disturbo psicologico, il criterio è sempre collegato all’intensità e pervasività dei pensieri e delle emozioni negative e al disagio che essi ci provocano nella nostra quotidianità.

 In quest’ultimo caso, quando ci si accorge che i propri dubbi impediscono di vivere serenamente la relazione con il partner, può essere opportuno rivolgersi ad uno specialista per una corretta valutazione del caso e per comprendere se e quando può essere necessario intraprendere un percorso terapeutico.

Bibliografia

Doron, G., Derby, D., & Szepsenwol, O. (2014). Relationship obsessive-compulsive disorder (ROCD): A conceptual framework. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders, 3, 169-180.

Dorona G, Dahlia Talmora, Ohad Szepsenwola and Danny S. Derby B.: Relationship-related obsessive- compulsive phenomena: The case of relationship-centred and partner- focused obsessive compulsive symptoms. Psicoterapia cognitivo-comportamentale – Ed . Erikson – 2012.

GRUPPI DI ASSERTIVITA’ E ABILITA’ SOCIALI

CORSI DI ASSERTIVITA' E ABILITA SOCIALI

Il trattamento dell’Insonnia: Studio Coradeschi sulla rivista Cognitivismo Clinico

Pubblicazione del Dott Davide Coradeschi sull’ultimo numero di Cognitivismo Clinico dedicato alla diagnosi e al trattamento dell’ insonnia  http://www.fioriti.it/riviste/pdf/2/05Coradeschi16-1.pdfC

immagine-articolo

Essere coppia nel tempo: come affrontare i disaccordi

Dott.ssa Cristina Jacchia

coppia-al-mare,-tramonto,-spiaggia-sabbiosa-227199

Innamorarsi è una delle esperienze più belle che possiamo sperimentare, ci fa battere il cuore, sentire la voglia costante di vedere l’altro, passare più tempo possibile insieme e ci fa illudere che tutto sia perfetto così… è una fase idilliaca, ma illusoria che consiste nell’esaltazione e nell’idealizzazione delle qualità positive dell’amato; tale modalità è detta visione a tunnel (tipico modo di guardare solo in termini positivi eludendo quelli negativi- o viceversa-) è rischioso affidarsi totalmente a questa modalità di pensiero…
L’innamoramento allontana dalla realtà e dai rischi della quotidianità, ma svolge una funzione esenziale:
Crea quel possente legame che spinge la coppia all’impegno di un rapporto
In questa fase ci facciamo promesse e ci creiamo aspettative spesso inverosimili, che, a causa dell’illusione tipica dell’innamoramento, ci sembrano molto più che realistiche…
“tu sei il mio superman” “io sono la tua wonder-woman”
Stiamo mettendo le basi per le nostre crisi future..
Ignari di tutto ciò progettiamo una vita insieme, convivenza, matrimonio, figli… tutto fila liscio e naturale fino a che la quotidianità inizia a starci stretta, i difetti dell’altro diventano improvvisamente insopportabili le promesse che ci eravamo fatti decadono… il desiderio dell’altro, l’intimità, la reciprocità e la connessione gradualmente sfumano e spesso non abbiamo la consapevolezza di cosa sia accaduto e quando…
È tutto regolare! Non possiamo essere innamorati per sempre, ma possiamo imparare a conoscerci più in profondità e imparare ad amare noi stessi e l’altro in modo più consapevole e maturo; ma cosa ci porta a questa crisi e come affrontarla quando le discussioni, o peggio i silenzi, diventano più frequenti del tempo piacevole che passiamo insieme?
Prima o poi bisognerà fare i conti con la delusione e trovare il modo di affrontarla e superarla senza farsi troppo male…
All’interno della coppia si creano delle naturali regole implicite che ogni volta che vengono infrante possono portare a una piccola delusione e nel tempo sfociare in litigi e discussioni.
Le regole del quotidiano sono regole implicite (non dette) e sottintendono un “si deve” o “non si deve”, di seguito alcuni semplici esempi:
• Sarà capace di capire i miei momenti difficili perché mi conosce
• Lui/lei porterà il cane fuori la sera perché sa che la sera non voglio uscire
• Lui/lei mi metterà sempre al primo posto
• Non dovrò mai chiedergli aiuto perché lo saprà anche solo guardandomi
• Sarà disposto/a a fare dei sacrifici per me
• Sarà lei/lui ad occuparsi della casa e dei figli
• Ogni volta che avremo del tempo libero lo passeremo insieme
• Non andrà più a giocare a calcetto quando nascerà nostro figlio
• Ci ameremo come il primo giorno per il resto della nostra vita
Se le guardiamo in modo oggettivo e ci poniamo la domanda “è verosimile o realistico che queste regole saranno SEMPRE rispettate dal partner?” ci rendiamo conto che nella vita di tutti i giorni è poco realistico che tali regole non verranno MAI infrante…

Cosa accade quando vengono infrante?
• Frustrazione, rabbia, tristezza, delusione, risentimenti, accuse, biasimo, giudizi negativi.
Ognuno di noi nella sua storia di vita ha imparato ad usare risposte emozionali (automatiche) più o meno funzionali; le risposte automatiche non funzionali ci conducono spesso a vivere un vero e proprio sequestro emotivo.
IL SEQUESTRO EMOZIONALE è momento più o meno lungo in cui si perde la capacità di ascoltare, pensare o parlare con lucidità a causa di una serie di fattori:
• Livello fisiologico: il battito cardiaco aumenta, il respiro diventa affannoso, aumenta la sudorazione (diminuisce l’ossigenazione)
• Livello comportamentale: spinta ad agire/aggredire, reazione di attacco/fuga …
• Livello cognitivo: una serie di pensieri assalgono la testa creando confusione …

Se siamo consapevoli di noi stessi, durante un diverbio col partner, arriveremo a distinguere tra:
• Stress accumulato durante la giornata e reazioni al diverbio col partner.
• Risposta automatica dovuta alla storia personale e reazione alla situazione.
Domande da farsi per avere una maggiore consapevolezza:
• “La mia reazione emotiva (l’intensità) è coerente con la situazione che sembra averla scatenata?”
• “è stata forse influenzata dall’andamento della giornata?”
• “è stata infranta qualche regola implicita?”à”mi aspettavo qualcosa di diverso da lui/lei?”
• “mi ha risvegliato esperienze del passato?”
• “in un altro periodo avrei reagito diversamente?”

Da dove nascono i disaccordi:
Nascono da distorsioni cognitive,
in particolare:
• Dall’infrazione di regole non dette;
• Da rigidità di pensiero;
• Da aspettative mancate.
Si mantengono a causa del perverso gioco:
• “il mio è meglio del tuo”
Si perpetuano
• a causa dell’intensità emotiva che viviamo,
• per cui non riusciamo a comprendere il livello di profondità del disaccordo

Esistono infatti due livelli di disaccordo:

I° LIVELLO : non esiste un vero disaccordo, ma il modo di parlarsi e di ascoltarsi è troppo statico.
(a volte diciamo la stessa cosa senza rendercene conto)
II° LIVELLO : c’è un conflitto reale che va risolto.
Sapere a che livello è il nostro disaccordo già ci può aiutare a stabilire quanto è utile proseguire con il gioco
“il mio è meglio del tuo!”

Se abbiamo un buon dialogo, possiamo usare la comunicazione oltre alla consapevolezza di ciò che ci sta accadendo per riavvicinarci e comprenderci superando il diverbio, la comunicazione infatti rappresenta lo strumento elettivo per vivere la coppia e ritrovare insieme i momenti di maggiore intimità.
La conversazione è perciò essenziale alla sopravvivenza e alla crescita del rapporto.
In una corretta comunicazione è necessario che i partner riconoscano che è inevitabile avere divergenze, accettarle e non fissarsi sugli aspetti meno gradevoli del partner, vedendoli in una prospettiva diversa. (guardiamo ciò che va e non solo ciò che non va)
Ricordarsi inoltre di far vincere il “noi”

Gottman identifica 4 modi di litigare male:
1. La critica al valore della persona;
2. Il disprezzo con l’uso del sarcasmo, cinismo e collera aggressiva per ferire l’altro; ”certo che su di te ci si può sempre contare eh!”
3. Il mutismo come resistenza passiva è una forma di aggressività mascherata, sminuisce sempre e comunque l’altro facendolo sentire inutile;
4. Gli atteggiamenti difensivi attraverso il distacco emotivo (fuga o lotta).

Come litigare prima durante e dopo

PRIMA:
• Trova il momento più opportuno per affrontare il contenzioso.
• Non mettere fretta al partner.
• Assumiti la responsabilità del disaccordo, ricorda che se esiste un contrasto è il risultato di due posizioni diverse, sai che peso ha avuto la tua posizione?
• Comprendere il punto di vista del partner anche se non lo condividiamo.
• Non lasciare passare troppo tempo.
DURANTE:
• Non usare mai la violenza fisica.
• Non utilizzare il ricatto (minacce, lacrime).
• Affronta solo la situazione contingente senza chiamare in causa gli errori (e/o fatti) del passato.
• Non insistere se il partner non regge la tensione emotiva e se la tua tensione emotiva è troppo elevata.
• Rispetta le emozioni del partner (mimica-stile comunicativo).
• Cerca di trovare una soluzione operativa condivisibile.
• Concludi il litigio senza che sia conclamato il vincitore.
DOPO:
• Non ritornare sullo stesso argomento (stiamo attenti all’orgoglio e alle questioni di principio).
• Rispetta e applica gli accordi.
• Fai notare come è stato produttivo risolvere e trovare degli accordi.

In generale possiamo attenerci ad alcuni principi generali che ci aiutano a giungere a conclusioni più realistiche

1. Non possiamo mai sapere quale sia lo stato d’animo, quali gli atteggiamenti, i pensieri e i sentimenti degli altri;
2. Le nostre affermazioni sugli atteggiamenti e i desideri altrui dipendono da segnali che sono frequentemente ambigui;
3. Per decifrare questi segnali usiamo il nostro sistema di codificazione che è spesso difettoso;
4. A seconda dello stato d’animo del momento, possiamo interpretare il comportamento altrui in un modo o in un altro;
5. Il grado di esattezza che percepiamo dalle nostre interpretazioni riguardo alle motivazioni e agli atteggiamenti del nostro partner è tutto da verificare.

E se vogliamo che la nostra relazione duri nel tempo è assolutamente importante coltivare e sviluppare le seguanti abilità individuali e reciproche

• Conoscere per amare.
• Coltivare la stima.
• Superare i conflitti.
• Operare per il reciproco benessere.
• Coltivare i propri interessi.
• Continuare a lavorare insieme al progetto COPPIA e famiglia.

Tali principi sono efficaci se la comunicazione, la consapevolezza individuale e le competenze emotive di entrambi i partner sono salde, purtroppo accade spesso che i presupposti che hanno condotto i due a scegliersi possano venire a mancare per fare spazio alla delusione delle aspettative, alla mancata condivisione e comunicazione, alla perdita della complicità e dell’intimità e tutto ciò può condurre a punti tali di rottura e di disconnessione che la rabbia, il rancore, le reciproche recriminazioni, il senso di solitudine ci fanno smettere di impegnarci nel mantenere vivo un progetto che sentiamo ormai arido.
È comunque importante verificare se è davvero tutto finito e se siamo davvero così lontani da non trovare più il modo di ri-sintonizzarci e recuperare o scoprire una nuova armonia che ci permette di riattivare il nostro progetto di coppia.
Quando siamo insicuri se lasciarci o no, o quando ci cerchiamo senza riuscire ad incontrarci è un buon momento per rivolgersi ad un esperto e verificare se ci troviamo in una fase naturale dell’evoluzione della coppia, in cui la delusione e la routine ci appannano la vista … in questi casi grazie a un percorso di terapia di coppia si può scoprire che, con nuovi strumenti e nuove modalità di relazione, di comunicazione e di attenzione, si può superare un periodo di crisi transitoria per ri-scoprirsi e ri-trovarsi e affrontare insieme una nuova fase di vita di coppia, oppure verificare che effettivamente il nostro progetto è giunto al capolinea.
All’interno dello Studio Coradeschi sono diversi gli esperti che si occupano di terapia di coppia, se vi siete riconosciuti in alcune delle problematiche esposte e non riuscite a risolvere i vostri conflitti o a comunicare in modo costruttivo senza farvi male, un percorso di tipo psicologico può aiutarvi a sbloccare una situazione dolorosa per entrambi.

CORSI DI MINDFULNESS

A Febbraio 2020 due nuovi corsi di mindfulness in programma!

Quando: il lunedi mattina dalle 9 alle 11 oppure il mercoledì sera dalle 1830 alle 2030

Durata: 8 incontri di 2 ore

Dove: Be Yoga Holistic Studio, via Fiorentina 443 – Arezzo

 

Cos’è la MINDFULNESS?

La Mindfulness ha origini antichissime, che prendono spunto dalle dottrine orientali, e attualmente è diventata, sostenuta da una corposa mole di studi che ne avvalorano l’efficacia, uno strumento per la gestione dello stress, così come delle difficoltà che incontriamo durante il corso della vita.

“Mindfulness” è la traduzione della parola “sati” che in lingua pali, significa “consapevolezza”.

Jon Kabat Zinn, uno dei padri della Mindfulness, la definisce come “… porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.

Significa porre attenzione alla nostra esperienza del momento, che sia un’attività banale come lavare i piatti o un evento straordinario, un momento di felicità oppure di dolore e paura, accogliendola con gentilezza e curiosità, senza giudicarla o giudicarci, senza volerla cambiare.

Significa soprattutto accorgersi quando non siamo più nel momento presente ed imparare con pazienza a tornare indietro.

Significa porre attenzione ai nostri impulsi ed avere la libertà di decidere se seguirli o meno.

Cosa NON è “mindfulness”?

  • ogni volta che ci creiamo delle aspettative su noi stessi o sugli altri
  • ogni volta che ci sforziamo di essere diversi da come siamo
  • ogni volta che sentiamo di dover essere bravi e che “non è mai abbastanza”
  • ogni volta che viviamo un momento di felicità e lo tratteniamo con tutte le nostre forze perchè non finisca
  • ogni volta che cerchiamo di cacciare ansia, paura e tristezza buttandoci nel lavoro, nel cibo o in qualche sostanza
  • ogni volta che cerchiamo di spingere fuori dalla nostra mente pensieri che non ci piacciono
  • ogni volta che la collera prende il controllo e ci fa agire impulsivamente
  • ogni volta che siamo nei rimpianti del passato o nelle paure per il futuro

In sostanza, non siamo in modalità “mindfulness” quando reagiamo in automatico a quello che ci capita senza avere alcuna consapevolezza di ciò che sta accadendo in quel momento dentro e fuori di noi. Viviamo, cioè, come automi, schiavi di noi stessi e dei nostri schemi negativi.

Cos’è un corso di mindfulness?

Una serie di incontri di gruppo durante i quali il conduttore aiuterà i partecipanti a fare esperienza diretta e ad allenare la capacità di porre attenzione momento per momento a ciò che sta accadendo dentro e fuori di noi, in maniera paziente, benevola e non giudicante.

Il programma prevede pratiche meditative formali:

  1. esplorazione delle sensazioni corporee
  2. meditazione seduta
  3. meditazione camminata
  4. meditazione abbinata ad esercizi yoga
  5. meditazione su pensieri, suoni ed emozioni

Al termine di ogni pratica, ampio spazio sarà dedicato alla condivisione e al confronto sull’esperienza appena conclusa, allenando i partecipanti ad accogliere il proprio e l’altrui vissuto con curiosità, gentilezza e accettazione.

Parte integrante del percorso è costituita dalle pratiche informali, ovvero l’applicazione dei principi mindfulness alla quotidianità, e dal costante allenamento nelle pratiche formali. A tale scopo verrà fornito materiale audio per esercitarsi a casa.

Fermarsi dal treno dei pensieri, per scendere alla stazione del presente, è un qualcosa che richiede tempo, spazio ed esercizio.

Quali benefici se ne possono trarre?

Numerosi studi scientifici (ad es. Grossman et al., 2004), hanno riportato una serie di benefici legati ad una pratica costante dei principi mindfulness tra cui:

  1. minor ansia
  2. riduzione dello stress
  3. miglioramento dell’umore
  4. maggiore energia e minor stanchezza quotidiana
  5. miglioramento della qualità del sonno
  6. riduzione del dolore e dei problemi fisici (ad es. cefalea, problemi gastro-intestinali)
  7. maggior controllo della collera
  8. riduzione del rimuginio e dei pensieri ossessivi

Riferimenti scientifici

Grossman, Nieman, Schmidt e Walach (2004). Mindfulness-based stress reduction and health benefits: A meta-analysis. Journal of psychosomatic Research, 57, 35-43. Elsevier.

Come iscriversi?

É possibile contattare lo Studio Coradeschi allo 0575 354935 lasciando nome e recapito telefonico in segreteria oppure mandando una mail a mindfulnessarezzo@gmail.com

É previsto un breve colloquio conoscitivo gratuito necessario per partecipare ai gruppi.

“Sapore di sale, Sapore di mare”: il mito della prova costume.

peanuts

A cura della dott.ssa Giovanna Mengoli

“Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt’al più sorridere”

Luigi Pirandello

 

– Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.

– Niente, – le risposi, – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino.

Mia moglie sorrise e disse:

– Credevo guardassi da che parte ti pende.

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:

-Mi pende? A me? Il naso?

Uno, nessuno e centomila.

Luigi Pirandello

Le vacanze estive si avvicinano o per alcuni sono già arrivate. Le vacanze marine in cui ci si sveste esponendo il nostro corpo non solo al sole, ma anche al confronto con gli altri, siano essi reali come i nostri vicini di ombrellone o virtuali quali ad esempio la modella di Calzedonia.

È arrivato il tempo in cui si espone il nostro corpo, più o meno in forma, più o meno scultoreo, dopo i lunghi mesi invernali in cui maglioni e cappotti ci coprivano dagli occhi critici altrui, ma soprattutto dai nostri.

Insomma, è arrivato il tempo della fatidica prova costume.

L’origine dell’ossessione per il corpo e per la bellezza, che oggi sembra risuonare maggiormente grazie ai social network ed ai selfie, in realtà si perde nella notte dei tempi.

Da sempre, la bellezza, infatti, rappresenta un buon predittore di successo nella vita. Non è cosa strana, visto che alla bellezza vengono associate anche altre doti; questo viene definito effetto alone della bellezza.

I greci dicevano KALOS KAI AGATHOS ovvero che tutto ciò che è bello (“Kalos”) è anche vero e buono (“agathos”), e viceversa.

Per tali motivi, nell’antichità classica, gli artisti avevano il compito di riprodurre statue di personaggi come imperatori, condottieri, non in maniera fedele, bensì idealizzata e con lo scopo di creare corpi non solo attraenti, ma esaltando anche altre doti e virtù.

Tuttora nel linguaggio quotidiano si parla di ‘bella’ e ‘buona azione’ in maniera indifferente.

A quella che è la schiavitù della bellezza nemmeno i bambini vi sfuggono.

Un neonato giudicato attraente avrà più attenzioni e sarà considerato maggiormente gestibile dai genitori. Anche a scuola, i bei bambini riusciranno a sviluppare un maggior numero di relazioni, gettando le basi di un successo sociale che li accompagnerà per il resto della loro vita (Costa, Corazza, 2006).

Crescendo, il nostro aspetto fisico potrebbe influenzare anche un colloquio di lavoro.

Sappiamo tutti ormai, dell’importanza dell’aspetto fisico ad un colloquio di lavoro e non solo: la bellezza è un indicatore importante anche durante l’intera carriera lavorativa.

Nelle donne, inoltre, rispetto agli uomini, il giudizio sulla propria bellezza appare maggiormente severo. Questo inizia di solito si acuisce in adolescenza, ma inizia già nell’infanzia e nello specifico quando si comincia ad avere come termine di paragone le bambole, quali ad esempio le Barbie, che incarnano appunto un ideale di bellezza e non la realtà dei fatti.

Agli uomini, invece, piuttosto che un ideale di magrezza è presentato un modello di corpo snello e muscoloso.

A nostra volta, tutti noi accettiamo supinamente questi ideali. L’eccessiva importanza riservata all’immagine corporea è frutto della convinzione –abbastanza fondata- che per essere socialmente accettati bisogna apparire in forma.

Per tutte queste ragioni, la relazione della bellezza con il benessere, con il successo scolastico o lavorativo spinge molte persone a spendere numerose energie e anche denaro per la ricerca di un aspetto fisico più gradevole ricorrendo alla cosmetica, alle diete, all’esercizio fisico e alla chirurgia estetica.

Il rischio maggiore poi, è che a causa di criteri scelti da altri veniamo indotti a sacrificare la nostra unicità e autenticità restando ossessionati dalla ricerca di una bellezza che non esiste con il pericolo di sviluppare una vera e propria patologia tra cui il disturbo di dismorfismo corporeo o dismorfofobia.

Il termine dismorfofobia deriva dal greco e vuol dire cattiva forma.

Chi soffre di disturbo di dismorfismo corporeo, infatti, considera reale e intollerabile un determinato difetto fisico e assolutamente legittimo cercare di eliminarlo in ogni modo. Anche quando prende coscienza dell’irragionevolezza del proprio accanimento estetico poi, in molti casi, prova vergogna per il proprio atteggiamento e per le sue implicazioni pratiche nella vita di tutti i giorni.

L’elemento centrale di tale disturbo è la percezione spesso errata di se stessi.

Solitamente la percezione che abbiamo di noi stessi rispetto all’aspetto esteriore non combacia con quella che gli altri hanno di noi.

Le preoccupazioni sul peso e la forma del corpo, inoltre, diventano giudizi sul valore personale riguardando da vicino la nostra autostima.

Detto questo rimane il fatto che nel disturbo di dismorfismo corporeo l’imperfezione è ciò che non viene accettato, ma spesso “accettare ciò che accade nella vita è una strategia efficace per ridurre la sofferenza”.

Ma può quest’ultima dipendere solamente dal contenitore piuttosto che dal contenuto?

 

Bibliografia

CostaM., Corazza L., (2006). Psicologia della bellezza. Firenze: Giunti.

 

Richiesta Informazioni

Nome (richiesto)

E-mail (richiesto)

Oggetto

Messaggio

Acconsento al trattamento dei miei dati personali sulla base della Privacy Policy

WhatsApp chat